giovedì 27 ottobre 2016

In attesa di Beta... qualche parola su Glitch

In previsione della pubblicazione di Beta, mi sono concessa il lusso di rileggere Glitch, perché ci sono libri che divori e poi ci sono quelle sensazioni che ti porti dietro… quelle del “ne voglio ancora”.
Sono dell’idea che i libri ci scelgano, a seconda del periodo della vita che stiamo affrontando. Ebbene, Glitch è stata una lettura azzeccatissima. Ho portato il kindle con me ovunque, sperando di potermi ritagliare anche solo 5 minuti per entrare in un altro mondo.
Ecco, una delle prime cose che mi fa genuflettere di fronte a questa scrittrice (una eh… avrei altri mille motivi, ottocento dei quali non sono adatti ad orecchie innocenti) è la struttura del romanzo. Mirya ha creato un’impalcatura non solo solida, per la sua storia, ma accurata. Ogni dettaglio è incastrato alla perfezione all’interno della trama, ogni capitolo porta con sé non solo l’evoluzione del racconto ma anche una serie di indizi che, più di un percorso di mollichine di pane, è una fila di semi appena piantati.
Germoglieranno.
E come se lo faranno…
Dire che la storia è incentrata su Leanne e Caleb, a mio parere è inesatto.
Glitch è la storia di Leanne, di Caleb, di Edelweiss, di Ben, di Felicity. E di Adam, di Zhang Li, di Gregory.
Di Zero Uno e di Martia… e via così.
Perché dico questo?
Perché quando si scrive un libro, tessere una trama convincente, realistica, coerente è una delle azioni principali da compiere. La trama della storia deve essere in testa, tutta.
Per Glitch non si è trattato solo di raccontare, ma di creare ex-novo. E Mirya riesce in qualcosa che lascia stupefatti: crea il mondo Connesso. Capovolge la realtà e, così nascono i Tempi Sconnessi.
Ambienta il suo libro in una scuola e per ogni alunno, racconta la sua storia.
Perché un buon insegnante riuscirà a seguire un programma ministeriale, a far procedere una classe in maniera più o meno spedita ma… ma poi esistono anche gli ottimi insegnanti. Quelli che di trenta alunni non conoscono solo i voti.
In Glitch c’è tanto. C’è anche che Mirya è un’ottima insegnante.
Conosciamo tutti i personaggi, principali e comprimari.
Conosciamo gli Alter. Ed ognuno sarà diverso dall’altro. Ognuno avrà, nel tempo, un nome suo.
Ecco, senza farvi vedere quante ciocche di capelli ho nelle mani, posso solo dirvi che non avrete mai modo di confondervi, che quando leggerete di Edel avrete il sorriso, sempre, e vi chiederete perché. Che amerete Ben, vorrete fare (ehm) di tutto a Caleb, ma un cinque a Felicity glielo battereste ogni tre pagine. Che quando arriverà la lezione di Particelle starete trascinando pure voi i piedi e quando Leanne deraglierà, vi batterà forte il cuore come se a farlo fosse stati voi stessi.
Glitch è una storia.
D’amore, d’amicizia, di rispetto,di paure, di ingiustizia.
Di crescita.

Alla fine della lettura, ringrazierete di avere già Beta tra le mani.

Glitch lo trovate qui

sabato 30 gennaio 2016

Family is every day!

Sgorbietto si sciroppa quattro ore di terapia a settimana da un anno e mezzo. Da un anno e mezzo ad oggi, ogni settimana il centro di riabilitazione mi vede sua ospite per quattro ore, quattro lunghissime ore e, come me, altri genitori peregrinano nella sala d’aspetto cercando di riempire il tempo come possono. Qualcuno ne approfitta per sbrigare qualche servizio, qualcun altro aiuta i figli a svolgere compiti per la scuola, molti chiacchierano tra loro, qualcuno ancora si ritira in un angolino a leggere dal proprio kindle (una a caso…).
Lo so, sono asociale.
Lo so, sono una pessima persona.
Don’t judge me.
Quando sollevo lo sguardo dal kindle, vedo cose che mi fanno pensare a quanto sono fortunata e a quanto lo è mio figlio che, in quel centro, ci va solo per correggere la CI che lui pronuncia SCI. Vedo persone che sorridono quiete e continuano a farlo quando vengono riportati i loro figli, felici che, forse, quel giorno hanno imparato a infilare il giubbotto. O forse no ma, prima o poi, magari ci riusciranno.
Sarà che sono diventata diffidente di natura, più probabilmente sarà che mi sforzo a tutti i costi di imparare ad esserlo, a malapena conosco il nome del bimbo che, da un paio di mesi, fa terapia insieme a sgorbietto.
Bene, ieri sera è successa una cosa. Il bimbo che fa terapia di gruppo con il mio finiva il suo percorso riabilitativo ed era stata organizzata una festicciola di saluto. Al termine, la madre mi ha chiesto di darle un passaggio perché non aveva l’auto. Accetto senza problemi, facciamo pure la stessa strada. Per la prima volta in tanto tempo, scambiamo qualche chiacchiera.
Mi spiega che l’auto, in verità, l’avrebbe anche, ma non può permettersi di pagare l’assicurazione. Non ne ha mai fatta una e le tocca di pagare il massimo, partendo da una prima categoria. Mi spiega che non le è permesso usufruire della legge Bersani, perché è separata e il suo ex-marito le ha detto chiaramente che può pure arrangiarsi, non sono problemi suoi come fa a portare il figlio a riabilitazione.
Io annuisco, ma taccio. Ho imparato da tempo che le persone hanno alle spalle tante storie diverse e che non si dovrebbe mai giudicare, senza conoscere i fatti. Taccio, ma sento un po’ l’embolo partire.
Chiedo alla mamma dove deve arrivare, non ho problemi a portarla dove vuole, anche se significa deviare dal mio percorso abituale.
Nel tragitto, le chiacchiere diventano piccole confidenze.
Ha sempre il sorriso sulle labbra, questa mamma, quando mi dà l’indirizzo del Centro Antiviolenza in cui è seguita, assieme ai suoi due figli. Mi dice, senza imbarazzo, che segue un percorso di psicoterapia anche lei e che, con i figli, temporaneamente vive dai suoi genitori. Con un po’ di sacrificio fra un po’ riusciranno tutti e tre a trasferirsi nella loro prima vera casa.
Poi, mi racconta.
Mi racconta dei regali che seguivano i ceffoni. Del biasimo da parte della famiglia e degli amici, dell’incredulità di quanti conoscono il marito (consulente bancario) e sanno quanto questi sarebbe una persona perbene.
Mi racconta di quando ha pensato che sarebbe morta e, solo allora, ha avuto il coraggio di denunciare.
Mi si stringe il cuore, quando le chiedo come è riuscita a trovare la forza di fare tutto questo.
E allora lei mi spiega che, di 90 denunce per maltrattamenti, solo 3 vanno davvero avanti e che, sì, di forza ce n’è voluta tanta. Specie quando gli assistenti sociali le volevano togliere i figli perché, una donna che resta in famiglia pur subendo i maltrattamenti, non ha pensato al bene dei propri figli. Che non aveva un lavoro, non aveva dove andare, ma ha innescato lo stesso il meccanismo assurdo della burocrazia che continua ad assicurare a questo genitore i diritti di padre, ma mette in dubbio la sua capacità di madre e svilisce in modo vergognoso la sua dignità di donna.
Ha il volto un po’ stanco, questa mamma che deve aver affrontato cose che io ho solo letto nei libri o ascoltato nelle cronache del telegiornale. Ma ha lo sguardo sereno e, in fondo a quegli occhi, c’è una determinazione che solo chi ha lottato davvero può permettersi.
Si imbarazza un po’ quando mi confida che è bruttissimo vivere con una persona che non ti stima.
E qui sono stata davvero in silenzio.
Mi dice il nome dell’altra sua figlia, un nome particolarissimo che non avevo mai sentito, e penso all’amore, alla cura con cui devono averlo scelto. Penso alla delusione che si cela nell’apparenza composta e posata di questa donna. A come la sua idea di famiglia si sia sgretolata e alla fatica che compie ogni giorno per fare cose che io do per scontate, come prendere l’auto e portare mio figlio alla terapia.
Mi invita, quando si saranno sistemati, ad andarla a trovare nella sua nuova casa: non è molto grande, ma suo figlio e il mio potranno giocare insieme e ne avrebbe piacere.
Accetto molto volentieri e quando esce dalla mia auto, esco anche io per stringerle la mano e dirle che, per quel che possa valere, ha la mia stima.
Perché ho raccontato tutto questo?
Perché oggi accendo la TV e vedo il fiume di persone al Circo Massimo riunite per il Family day.
Leggo striscioni in cui due immagini stilizzate di donne che si tengono per mano e due uomini che fanno la stessa cosa (le immagini che ci sono sulle toilette, per capirci) sono seguite dalla scritta: questo è sbagliato.
Certo che è sbagliato, Dio Santo. Chi va al cesso in compagnia?
Che miseria, pure questo c’è scritto nel decreto Cirinnà?
Perché è chiaro, se si scende in piazza per esprimere il proprio dissenso all’espletare i bisogni fisiologici tutti insieme, beh, allora scendo in piazza pure io.
Ah, no. Si scende in piazza per difendere la famiglia. Per difendere i propri figli.
Da?
Spiegatemelo, io credo di avere qualche difficoltà.
Per quale misterioso motivo dovrei difendere la mia famiglia se due donne o due uomini si tengono per mano? Se si sposano, se adottano un bambino? In quale modo, questo mina la sicurezza della mia famiglia?
Mi toglieranno i miei figli, se verranno legalizzate le unioni civili?
Mi impediranno di vederli, se sarà permesso ad un uomo/donna di assistere il proprio compagno/a in ospedale?
Minchia, Ella, come sei egoista… non pensi al benessere dei resto dei bambini, magari quelli che sono orfani o abbandonati e non hanno una famiglia?
Giusto, pensiamoci.
Ecco, allora un bambino che non ha famiglia ha diritto ad averne una. Fin qui siamo tutti d’accordo. Poi però succede che non tutte le famiglie sono famiglie ed è necessario assicurarsi che la famiglia in cui questo bambino sarà accolto debba essere degna.
Eccerto che deve.
Quali sono le famiglie degne di tale nome?
Le famiglie tradizionali, dicono nel Family day. Come la famiglia della mamma a cui ho dato un passaggio ieri in auto, dico io.
Vedete, il problema secondo me è un altro. In Italia non c’è la cultura della diversità. Anche una mamma/papà che resta solo, per tutta una serie di motivi, è diverso. E in quanto tale, dovrà iniziare a lottare affinché i suoi diritti vengano riconosciuti o continuino a restare tali.
E ora mi domando: ma di cosa stiamo discutendo? Non si discute se una famiglia è degna di tale nome, se i componenti possono assicurare una vita sicura ad un bambino. Qui (anzi lì, al Family day), si discute di altro. Si discute sul fatto che due gay sono liberi di fare quello che vogliono, ma adottare no, sposarsi no, avere riconosciuti i propri diritti dal punto di vista legale no, perché (e cito Gandolfini) due gay non sono malati, però…
Però?
Però che?
Però avete deciso che, a priori, una coppia di fatto non è una coppia, perché è diversa da voi.
Avete stabilito che un bambino senza affetti non può essere adottato da una coppia gay perché quella non è famiglia.
Avete stabilito che, se la famiglia è composta da un uomo e da una donna, allora è una famiglia, tutto il resto no.
Perché voi sapete, e siete sicuri di questo, che gli altri sono indegni.
E lo sono perché, al riparo della loro casa, alla luce del giorno, nei gesti quotidiani, secondo voi si amano in un modo che non è il vostro modo.
E, cosa ancor più grave, in tutto questo discorso ci infilate la religione. Perché non è cambiato nulla, quello resta ancora lo strumento più potente con cui fare i lavaggi del cervello.
Volete lottare?
Lottate. Lottate con tutte le vostre forze. Ma lottate per ragioni reali.
Lottate come quella mamma, che davvero ha dovuto cacciare gli artigli per difendere la sua famiglia.
Lottate contro una burocrazia ipocrita, non per tenervi stretti il diritto di sentirvi dire che ti sei sposata? allora torna con tuo marito, perché quella è la tua famiglia.
Famiglia.
Family day.
Family is every day.



venerdì 1 maggio 2015

Semplicemente... è primavera

Di recente guardavo mio figlio in uno di quei temutissimi momenti per i genitori, quelli in cui c'è del tempo da riempire (per loro) e mille cose da fare (per te).
Dopo aver scartato la TV, i videogiochi, la plastilina (!) e i Lego, l'occhio (il suo) gli è caduto sulla pila di quadernoni nuovi. Già armato di portacolori, ha sfoderato il tipico sguardo da cerbiatto - quello che a cinque anni è sinonimo di breccia assicurata anche nel set di regole più ferree – e ha proteso la manina per farsi consegnare l'oggetto del suo interesse.
Nel microcosmo del pragmatismo, è chiaro che un euro è un prezzo più che ragionevole per l'acquisto di una preziosissima mezz'ora da impiegare in faccende di elevato spessore intellettuale, di quelle che si svolgono di solito davanti ad un asse da stiro trasfigurato da una piccola montagna di bucato stantio.
Ebbene, durante lo schieramento in campo delle tre fazioni – i “da stirare assolutamente”, i “da una botta veloce” e i vincenti “da piegare e amen” - osservavo lo sgorbietto apprestarsi alla sua attività ludica.
C'è qualcosa di incantevole in un bambino che apre un quadernone illibato e ha a disposizione un set di colori con il quale strappare la pagina bianca al nulla. Credo che sia stato quel sorriso appena accennato sulle sue labbra, l'occhio che vagava tra i pastelli alla ricerca della tonalità sintonica con il suo umore, la trepidazione con cui ha accarezzato la pagina vuota un attimo prima di pugnalarla con un rosso fuoco sbeccato, credo che sì, siano stati questi i segnali di quanto mi mancasse realmente scrivere.
Perché è evidente che una maniaca del perfezionismo non potrebbe mai accontentarsi di un post miserevole e privo di senso come questo qui, evidente almeno quanto lo è per un bambino cogliere esattamente il giusto spirito con cui accostarsi alle cose.
Semplicità, divertimento, piacere.
Forse è qualcosa che ha a che fare con la presunzione o con il confortevole impigrimento di un cervello sempre troppo iperattivo, qualunque sia la causa gli effetti non cambiano e dunque sono mesi che non leggete nulla su questo blog.
Vi esonero dall'ingrato compito di sorbirvi i drammi esistenziali della mia vita, di sicuro irrilevanti rispetto ai drammi veri della vita, vi risparmio il girone infernale delle recenti letture di ottavo ordine con cui ho violentato i miei già provati neuroni e: tra Amazon che mi fa notare molto gentilmente che un “soffioi” dovrebbe essere un “soffio”, che “tu mi ha conferito” suona meglio come “tu mi hai conferito”, per non parlare dell'orrore grammaticale di “un immensa distesa” che davvero non si può leggere priva di apostrofo; tra i libri meravigliosi che stazionano sul kindle e che, accuratamente, evito per timore di non dar loro l'attenzione che meritano; tra il tiepido ricordo di un pranzo a base di patatine e sprizt dopo 5 ore di treno e una vita di riflessioni... bene, tra tutta questa ovattata letargia mi permetto un paio di considerazioni del tutto slegate fra loro (o forse no).
Amazon, ho due pagine di word di refusi da correggere nel mio libro di cui mi scuso profondamente con i miei lettori (e ringrazio ancora una volta Silvia Pillin a cui stringo la mano per tante ragioni) e un cartaceo da preparare (a breve, prometto!), per cui davvero mi perdonerà se ho lasciato la sua segnalazione nel marasma degli spam.
Leggete “Le due facce dell'amore” di Nick Spalding. Ci sono momenti della vita in cui una risata fa bene alla salute e momenti in cui un libro è proprio quello che ci vuole per curare l'animo. Prima di trovare la storia adatta a questo frangente della mia vita, ho girovagato a lungo e poi mi sono lasciata conquistare dalla leggerezza ironica di questo autore e dalla piccola meraviglia che è il suo libro. Non prendiamoci troppo sul serio, riscopriamo il semplice piacere di una buona lettura. Ho riso tanto e mi permetto di consigliare di fare lo stesso a chi, per un motivo o per un altro, ha troppi pensieri che lo distraggono. LEGGETE QUESTO LIBRO.
Ho lasciato un pezzetto di cuore in Emilia. Non stava un granché bene, ma l'ho affidato a mani amorevoli, le stesse mani che mi hanno strappato di dosso un paio di strati di dura scorza e poi mi hanno fornito il balsamo con cui ricostruire nuova pelle. Non lo so quanto ci vorrà, ma so che lei c'è e sono ansiosa di farmi strigliare come si deve, nella nostra migliore tradizione sado-maso.
Ho aperto una pagina word.
Ho valutato nel corredo di parole confuse della mia testa quelle che erano pronte a venir fuori, strizzando un occhio benevolo a quelle che per ora non se la sentono ancora.
Ho accarezzato la pagina vuota e poi l'ho pugnalata con questo post.
“Le porte chiuse si devono forzare affinché l'aria pura possa circolare liberamente”.
Non l'ho scritto io, ma Salomone.
Siamo in piena primavera, magari è anche ora di iniziare a svernare senza temere un colpo di freddo dalle porte appena socchiuse...
Buon fine settimana lungo!


domenica 9 novembre 2014

Puzzle Cover Reveal: Trentatrè di Mirya - Sesta tappa -

Eccomi, cari amici, per la mia tappa del Puzzle Cover Reveal di un libro a cui sono particolarmente legata: Trentatré di Mirya.
È cosa di dominio pubblico che il rapporto che lega me e questa autrice abbia oltrepassato la semplice relazione platonica e sia sfociato in una passione devastante. In attesa di fuggire insieme a Parigi, consumiamo alcuni dei nostri migliori amplessi sulle rispettive produzioni letterarie e, vi assicuro, non sono pochi.
Di certo non lo sono in Trentatré e mi trovo nella fortunata posizione di aver avuto una visione in anteprima di quello che a breve sarà un capolavoro pubblicato, una storia diversa, senza tempo e senza spazio, in cui sarà impossibile non riconoscersi.
Mi sono domandata quanto posso spingermi a raccontarvi, non per convincervi all’acquisto, ma per condividere con voi l’impatto devastante che questa lettura ha avuto su di me.
Trentatré è un romanzo che è venuto giù tutto d’un fiato. S’è voluto far scrivere con prepotenza, s’è inserito in progetti già avviati dell’autrice come un tarlo dispettoso e, chi scrive lo sa, se non si dà retta a quella voce nella testa le conseguenze sono tremende.
Quando ho letto il Prologo (qui potete ascoltarlo dalla voce dell’autrice!) ho avuto un istante di perplessità: chi ha letto qualche anticipazione sulla pagina fb di Mirya ne ha ben intuito il motivo, perché questo romanzo ha tra i suoi protagonisti Dio.
Ora, qualcuno dirà: blasfemia!
E avete ragione. E’ blasfemo che se un autore ha il coraggio di far sentire una voce onesta, non politicamente corretta, e di sicuro non in linea con le tendenze all’annichilimento del ragionamento e della consapevolezza tanto in voga ultimamente nell’editoria, debba farlo, probabilmente, a suo discapito.
Perché è facile scrivere di tette e di scuotimenti di membra e di violenze carnali che diventano amori senza confini, ma far scendere Dio sulla terra, dargli una voce, un pensiero, farlo interagire con gli uomini e precettarlo per chiedergli tutto quello che avremmo sempre voluto sapere da Lui, beh, questo è qualcosa che può fare solo una grande scrittrice come lei.
E poiché penserete che sono di parte (lo sono, ma sono anche crudelmente obiettiva e lei lo sa benissimo), vi lascio uno stralcio di una delle mie mail che ci scambiamo da più di un anno (saranno un migliaio, credo), riferito ad uno degli ultimi capitoli:

…in un momento in cui la Chiesa mi sta stretta, in cui la religione sta perdendo i suoi connotati originari per acquistare il senso del "vedi quanto è maschilista e meschino questo ambiente", beh, in un momento come questo sei riuscita a riconciliarmi con Dio.
E se anche Dio non è Chiesa, la Chiesa dovrebbe essere Dio a parer mio. Vedere che non è così, testarlo davvero sulla mia pelle non come un'imposizione di mia madre, ma come una scelta a mia volta da madre, mi ha fatto nascere molte, molte più domande di quelle che già avevo. Ed erano tante, eh.
Questo Dio del tuo libro che alla fine (…) beh, è qualcosa di sconvolgente. Forse qualcuno dirà blasfemo, io dico emozionante e coinvolgente.
(…)
Quando Dio ha (…), posso giurarti sui miei figli, che l'ho visto davvero grande e onnipotente.
(…)
E mi dispiace che devo iniziare la giornata, sennò non la finivo di certo qui.”

Ho dovuto editare la mail, mio malgrado, per non spoilerarvi nulla, ma accettate un consiglio spassionato: leggete questo libro e gli occhi si apriranno come forse non vi è mai accaduto prima.

Il pezzetto del Puzzle che vi presento è questo. Un ringraziamento speciale ad Annachiara, del blog Please Another Book per le sue idee awesome e per avermi inserita nel tour  *.*



E la letterina, che unita a quelle già inserite negli altri blog che hanno partecipato al Puzzle Cover Reveal vi darà il nome di un personaggio del libro, è questa. 



A che serve? Serve a farvi vincere una copia di Trentatré! Unite le letterine, ricavate il nome e commentate nell’ultima tappa del Puzzle Cover.
Qual è quest’ultima tappa? Dove le troviamo le altre letterine?
Eccovi il calendario:
Martedì 4 novembre: Primo Pezzo Anncleire su Please Another Book
Mercoledì 5 novembre: Secondo Pezzo Erika su Wonderful Monster
Giovedì 6 novembre: Terzo Pezzo kikkasole su Testa e piedi tra le pagine dei libri
Venerdì 7 novembre: Quarto Pezzo Monica & Chiara su Ikigai
Sabato 8 novembre: Quinto Pezzo Lorena su Petrichor
Domenica 9 novembre Sesto Pezzo Maria Luisa su Il Sorriso in una pagina
Lunedì 10 novembre: Settimo Pezzo Rachele su Di Tutto Cuore
Martedì 11 novembre: Ottavo Pezzo Stefania  su Tutto Tondo
Mercoledì 12 novembre: Copertina completa + Trama Anncleire su Please Another Book

Mirya la trovate su Twitter, su Fb, sul suo blog personale.


venerdì 17 ottobre 2014

Il Read Along: quando, dove e perché partecipare.

Due paroline sul Read Along.
All’inizio ero molto, molto scettica.
Avendo i minuti contati per fare tutto, spesse volte la lettura di un libro deve incastrarsi in momenti rubati tra un impegno e l’altro, in modo molto disordinato e con l’effetto “risucchio” (specie se trattasi di un libro da cui non ci si riesce a staccare). Chi di noi non ha mai pensato almeno una volta “vabbè, un altro capitolo e poi basta per stanotte?” (sempre più di rado, ultimamente. Purtroppo.)
Bene, se vi riconoscete nella descrizione del lettore tipo di cui sopra, allora il Read Along è un’esperienza da provare.
Analizziamo i fatti:
1)     Minuti contati: malissimo. All’interno di una giornata è necessario ritagliarsi il proprio spazio SEMPRE (lo dice una che non lo fa quasi mai). Ci serve per ricaricarci, per staccare, per far sì che gli altri si stacchino da noi e capiscano che non siamo robot. Il Read Along è un appuntamento con le amiche. È quel caffè che nemmeno si ha tanta voglia di prendere, ma che rappresenta la scusa perfetta per fare quattro chiacchiere, scambiarsi opinioni, semplicemente rilassarsi. È un momento per noi, quello che scegliamo di condividere con chi vogliamo.
2)      Effetto “risucchio”: fa male pure questo. Tirarsi un libro in un respiro può essere affascinante (per lo più stressante. Specie se a notte fonda cercate ancora di decifrare le parole), ma non necessariamente è indice di gradimento. Alcuni libri possono farsi pure leggere rapidamente, ma poi lasciano ben poco. Il Read Along, fatto come si dovrebbe, disciplina il lettore. Fermarsi un giorno a riflettere sulla tappa raggiunta, insieme ad altri lettori che sono al vostro stesso punto, non è solo un momento di condivisione, ma un’occasione di crescita. A ben vedere, ogni volta che ci imbattiamo in un punto di vista diverso dal nostro, cresciamo. Anche se non siamo concordi, anche se dissentiamo. Alla base di tutto c’è la riflessione e un cervello pensante è un cervello attivo, critico, consapevole.

OK, ma se il libro che è stato scelto non mi piace?
Non partecipate. O lo fate e spiegate le vostre motivazioni. O aspettate il prossimo.
Il mio primo Read Along è stato una sorpresa sconvolgente. Si parte da un commento o da una citazione del libro e si attraversano tutte le gradazioni di conoscenza virtuale fino a scoprire che un altro lettore su quel punto che voi avete tanto amato, magari ha pianto perché gli ha rammentato un ricordo del passato. E allora qualche ricordo sovviene anche a voi e, nel clima di complicità che si instaura, potreste volerlo condividere, o anche no.
Il punto non è sapere i fatti degli altri. Il punto è che quella che normalmente sarebbe un’esperienza solitaria si trasforma in un’attività corale. E che vi divertirete.
Questo è il motivo per cui mi sento di consigliarvi caldamente di partecipare a un Read Along ideato e condotto da Annachiara, del blog Please Another Book.
Non ha importanza che libro scegliate, è importante come vi ponete.
Non ci sono obblighi particolari, ma scoprirete che è stupendo scorrere le notifiche di Goodreads è riconoscere in un lettore lo stesso vostro banner nello status, oppure aprire facebook e trovare citato quello stesso passaggio che ha tanto colpito anche voi, o scoprire che Mirya è stata bannata perché spoilera i finali a tutti dopo 34 minuti dall’inizio della lettura.
Ecco, il 20 ottobre le meravigliose donne della Banda dei Read Along, capeggiate da Annachiara, daranno l’avvio al #PABTrevRA (acronimo di Please Another Book Trevor Read Along) a cui potete partecipare tutti, anche in corso d’opera.
Vi va?
Mi auguro di sì.
E allora che aspettate?
Andate qui e leggete il regolamento!



mercoledì 15 ottobre 2014

Dove acquistare, come leggere e come convertire il file del "Manuale della Perfetta Adultera"

Dunque, ci siamo.
Da oggi il “Manuale della Perfetta Adultera” è disponibile su Amazon in formato Kindle, al prezzo di 2,88 euro. Vi risparmio le mie crisi isteriche quando ho scovato un refuso sfuggito alle millemila revisioni e Amazon mi ha fatto “no, no” con il ditino quando ho cercato di caricare il file con la correzione dell’ultimo minuto.
Poco male. Come ho detto in precedenza, ci sono momenti in cui ci si rende conto che il bello non ospita necessariamente la perfezione, e questo è uno di quei momenti. Con grande tranquillità ed umiltà, vi chiedo di essere così gentili da segnalarmi gli errori in cui vi imbatterete, non tanto per mania di perfezionismo, ma solo per rendere più scorrevole la lettura a coloro che sceglieranno questo libro.
Allora, in questo post do qualche piccolo chiarimento.
Il libro per ora è disponibile solo in formato mobi ed è acquistabile solo su Amazon. Mi avete chiesto se ci sarà il cartaceo e non escludo questa possibilità, ma non per l’immediato futuro.
Come lo leggiamo allora? Se avete un Kindle non ci sono problemi: lo acquistate e arriva direttamente sul dispositivo tramite rete wifi. Se avete un tablet, un pc, uno smartphone, potete scaricare l’applicazione gratuita di Kindle (potete scegliere quella più adatta alle vostre esigenze) che vi permetterà di leggere tutti i libri che acquistate su Amazon.
Ma io non ho il Kindle! Ho il Kobo, o un altro e-reader qualsiasi, che faccio? Oppure non ho proprio un e-reader, né un tablet, né un pc, né un telefono.
Bene, io vi consiglio di leggere questo post della splendida Annachiara del blog Please Another Book. Nella prima parte c’è una disamina dei vari e-reader e delle ragioni per cui risulta molto comodo e conveniente per chi (come me e tanti altri) è un lettore ossessivo-compulsivo e non ha spazio/possibilità di acquistare tanti libri in formato cartaceo. Nella seconda parte c’è un’utilissima guida stilata da @MedOrMad alla conversione dei file per gli utenti non Kindle, che desiderano portare l’ebook su un altro dispositivo.
"Manuale della Perfetta Adultera" è convertibile nei formati più comuni poiché non ho limitato questa possibilità con i DRM (Digital Rights Management). La guida riportata nella parte finale del post vi spiegherà passo passo come procedere, ma vi prego di farmi sapere se avete dubbi o problemi tramite i canali che più preferite e che trovate nei "contatti", su in alto nel menu.
Spero di non aver dimenticato nulla.
Ah, sì...
...buona lettura!

mercoledì 1 ottobre 2014

Anteprima: Capitoli 1, 2 e 3 de "Manuale della Perfetta Adultera"

Cari amici, come sempre eccomi a darvi qualche notizia succulenta sulle anticipazioni del libro.
Chi mi segue sulla pagina autore di Facebook sa che insieme a Please Another Book, il blog che ha preso il mio libro sotto la sua aluzza protettiva, abbiamo pensato di ingannare l'attesa della pubblicazione (15 ottobre, segnate, segnate...) con un regalo: i primi tre capitoli del libro.
Il primo l'ho rilasciato ad agosto e lo trovate qui.
Il secondo è disponibile da ieri qui
Il terzo è ora disponibile qui.

Sono molto emozionata e spero che lo siate insieme a me!
Buona lettura a tutti!