domenica 9 novembre 2014

Puzzle Cover Reveal: Trentatrè di Mirya - Sesta tappa -

Eccomi, cari amici, per la mia tappa del Puzzle Cover Reveal di un libro a cui sono particolarmente legata: Trentatré di Mirya.
È cosa di dominio pubblico che il rapporto che lega me e questa autrice abbia oltrepassato la semplice relazione platonica e sia sfociato in una passione devastante. In attesa di fuggire insieme a Parigi, consumiamo alcuni dei nostri migliori amplessi sulle rispettive produzioni letterarie e, vi assicuro, non sono pochi.
Di certo non lo sono in Trentatré e mi trovo nella fortunata posizione di aver avuto una visione in anteprima di quello che a breve sarà un capolavoro pubblicato, una storia diversa, senza tempo e senza spazio, in cui sarà impossibile non riconoscersi.
Mi sono domandata quanto posso spingermi a raccontarvi, non per convincervi all’acquisto, ma per condividere con voi l’impatto devastante che questa lettura ha avuto su di me.
Trentatré è un romanzo che è venuto giù tutto d’un fiato. S’è voluto far scrivere con prepotenza, s’è inserito in progetti già avviati dell’autrice come un tarlo dispettoso e, chi scrive lo sa, se non si dà retta a quella voce nella testa le conseguenze sono tremende.
Quando ho letto il Prologo (qui potete ascoltarlo dalla voce dell’autrice!) ho avuto un istante di perplessità: chi ha letto qualche anticipazione sulla pagina fb di Mirya ne ha ben intuito il motivo, perché questo romanzo ha tra i suoi protagonisti Dio.
Ora, qualcuno dirà: blasfemia!
E avete ragione. E’ blasfemo che se un autore ha il coraggio di far sentire una voce onesta, non politicamente corretta, e di sicuro non in linea con le tendenze all’annichilimento del ragionamento e della consapevolezza tanto in voga ultimamente nell’editoria, debba farlo, probabilmente, a suo discapito.
Perché è facile scrivere di tette e di scuotimenti di membra e di violenze carnali che diventano amori senza confini, ma far scendere Dio sulla terra, dargli una voce, un pensiero, farlo interagire con gli uomini e precettarlo per chiedergli tutto quello che avremmo sempre voluto sapere da Lui, beh, questo è qualcosa che può fare solo una grande scrittrice come lei.
E poiché penserete che sono di parte (lo sono, ma sono anche crudelmente obiettiva e lei lo sa benissimo), vi lascio uno stralcio di una delle mie mail che ci scambiamo da più di un anno (saranno un migliaio, credo), riferito ad uno degli ultimi capitoli:

…in un momento in cui la Chiesa mi sta stretta, in cui la religione sta perdendo i suoi connotati originari per acquistare il senso del "vedi quanto è maschilista e meschino questo ambiente", beh, in un momento come questo sei riuscita a riconciliarmi con Dio.
E se anche Dio non è Chiesa, la Chiesa dovrebbe essere Dio a parer mio. Vedere che non è così, testarlo davvero sulla mia pelle non come un'imposizione di mia madre, ma come una scelta a mia volta da madre, mi ha fatto nascere molte, molte più domande di quelle che già avevo. Ed erano tante, eh.
Questo Dio del tuo libro che alla fine (…) beh, è qualcosa di sconvolgente. Forse qualcuno dirà blasfemo, io dico emozionante e coinvolgente.
(…)
Quando Dio ha (…), posso giurarti sui miei figli, che l'ho visto davvero grande e onnipotente.
(…)
E mi dispiace che devo iniziare la giornata, sennò non la finivo di certo qui.”

Ho dovuto editare la mail, mio malgrado, per non spoilerarvi nulla, ma accettate un consiglio spassionato: leggete questo libro e gli occhi si apriranno come forse non vi è mai accaduto prima.

Il pezzetto del Puzzle che vi presento è questo. Un ringraziamento speciale ad Annachiara, del blog Please Another Book per le sue idee awesome e per avermi inserita nel tour  *.*



E la letterina, che unita a quelle già inserite negli altri blog che hanno partecipato al Puzzle Cover Reveal vi darà il nome di un personaggio del libro, è questa. 



A che serve? Serve a farvi vincere una copia di Trentatré! Unite le letterine, ricavate il nome e commentate nell’ultima tappa del Puzzle Cover.
Qual è quest’ultima tappa? Dove le troviamo le altre letterine?
Eccovi il calendario:
Martedì 4 novembre: Primo Pezzo Anncleire su Please Another Book
Mercoledì 5 novembre: Secondo Pezzo Erika su Wonderful Monster
Giovedì 6 novembre: Terzo Pezzo kikkasole su Testa e piedi tra le pagine dei libri
Venerdì 7 novembre: Quarto Pezzo Monica & Chiara su Ikigai
Sabato 8 novembre: Quinto Pezzo Lorena su Petrichor
Domenica 9 novembre Sesto Pezzo Maria Luisa su Il Sorriso in una pagina
Lunedì 10 novembre: Settimo Pezzo Rachele su Di Tutto Cuore
Martedì 11 novembre: Ottavo Pezzo Stefania  su Tutto Tondo
Mercoledì 12 novembre: Copertina completa + Trama Anncleire su Please Another Book

Mirya la trovate su Twitter, su Fb, sul suo blog personale.


venerdì 17 ottobre 2014

Il Read Along: quando, dove e perché partecipare.

Due paroline sul Read Along.
All’inizio ero molto, molto scettica.
Avendo i minuti contati per fare tutto, spesse volte la lettura di un libro deve incastrarsi in momenti rubati tra un impegno e l’altro, in modo molto disordinato e con l’effetto “risucchio” (specie se trattasi di un libro da cui non ci si riesce a staccare). Chi di noi non ha mai pensato almeno una volta “vabbè, un altro capitolo e poi basta per stanotte?” (sempre più di rado, ultimamente. Purtroppo.)
Bene, se vi riconoscete nella descrizione del lettore tipo di cui sopra, allora il Read Along è un’esperienza da provare.
Analizziamo i fatti:
1)     Minuti contati: malissimo. All’interno di una giornata è necessario ritagliarsi il proprio spazio SEMPRE (lo dice una che non lo fa quasi mai). Ci serve per ricaricarci, per staccare, per far sì che gli altri si stacchino da noi e capiscano che non siamo robot. Il Read Along è un appuntamento con le amiche. È quel caffè che nemmeno si ha tanta voglia di prendere, ma che rappresenta la scusa perfetta per fare quattro chiacchiere, scambiarsi opinioni, semplicemente rilassarsi. È un momento per noi, quello che scegliamo di condividere con chi vogliamo.
2)      Effetto “risucchio”: fa male pure questo. Tirarsi un libro in un respiro può essere affascinante (per lo più stressante. Specie se a notte fonda cercate ancora di decifrare le parole), ma non necessariamente è indice di gradimento. Alcuni libri possono farsi pure leggere rapidamente, ma poi lasciano ben poco. Il Read Along, fatto come si dovrebbe, disciplina il lettore. Fermarsi un giorno a riflettere sulla tappa raggiunta, insieme ad altri lettori che sono al vostro stesso punto, non è solo un momento di condivisione, ma un’occasione di crescita. A ben vedere, ogni volta che ci imbattiamo in un punto di vista diverso dal nostro, cresciamo. Anche se non siamo concordi, anche se dissentiamo. Alla base di tutto c’è la riflessione e un cervello pensante è un cervello attivo, critico, consapevole.

OK, ma se il libro che è stato scelto non mi piace?
Non partecipate. O lo fate e spiegate le vostre motivazioni. O aspettate il prossimo.
Il mio primo Read Along è stato una sorpresa sconvolgente. Si parte da un commento o da una citazione del libro e si attraversano tutte le gradazioni di conoscenza virtuale fino a scoprire che un altro lettore su quel punto che voi avete tanto amato, magari ha pianto perché gli ha rammentato un ricordo del passato. E allora qualche ricordo sovviene anche a voi e, nel clima di complicità che si instaura, potreste volerlo condividere, o anche no.
Il punto non è sapere i fatti degli altri. Il punto è che quella che normalmente sarebbe un’esperienza solitaria si trasforma in un’attività corale. E che vi divertirete.
Questo è il motivo per cui mi sento di consigliarvi caldamente di partecipare a un Read Along ideato e condotto da Annachiara, del blog Please Another Book.
Non ha importanza che libro scegliate, è importante come vi ponete.
Non ci sono obblighi particolari, ma scoprirete che è stupendo scorrere le notifiche di Goodreads è riconoscere in un lettore lo stesso vostro banner nello status, oppure aprire facebook e trovare citato quello stesso passaggio che ha tanto colpito anche voi, o scoprire che Mirya è stata bannata perché spoilera i finali a tutti dopo 34 minuti dall’inizio della lettura.
Ecco, il 20 ottobre le meravigliose donne della Banda dei Read Along, capeggiate da Annachiara, daranno l’avvio al #PABTrevRA (acronimo di Please Another Book Trevor Read Along) a cui potete partecipare tutti, anche in corso d’opera.
Vi va?
Mi auguro di sì.
E allora che aspettate?
Andate qui e leggete il regolamento!



mercoledì 15 ottobre 2014

Dove acquistare, come leggere e come convertire il file del "Manuale della Perfetta Adultera"

Dunque, ci siamo.
Da oggi il “Manuale della Perfetta Adultera” è disponibile su Amazon in formato Kindle, al prezzo di 2,88 euro. Vi risparmio le mie crisi isteriche quando ho scovato un refuso sfuggito alle millemila revisioni e Amazon mi ha fatto “no, no” con il ditino quando ho cercato di caricare il file con la correzione dell’ultimo minuto.
Poco male. Come ho detto in precedenza, ci sono momenti in cui ci si rende conto che il bello non ospita necessariamente la perfezione, e questo è uno di quei momenti. Con grande tranquillità ed umiltà, vi chiedo di essere così gentili da segnalarmi gli errori in cui vi imbatterete, non tanto per mania di perfezionismo, ma solo per rendere più scorrevole la lettura a coloro che sceglieranno questo libro.
Allora, in questo post do qualche piccolo chiarimento.
Il libro per ora è disponibile solo in formato mobi ed è acquistabile solo su Amazon. Mi avete chiesto se ci sarà il cartaceo e non escludo questa possibilità, ma non per l’immediato futuro.
Come lo leggiamo allora? Se avete un Kindle non ci sono problemi: lo acquistate e arriva direttamente sul dispositivo tramite rete wifi. Se avete un tablet, un pc, uno smartphone, potete scaricare l’applicazione gratuita di Kindle (potete scegliere quella più adatta alle vostre esigenze) che vi permetterà di leggere tutti i libri che acquistate su Amazon.
Ma io non ho il Kindle! Ho il Kobo, o un altro e-reader qualsiasi, che faccio? Oppure non ho proprio un e-reader, né un tablet, né un pc, né un telefono.
Bene, io vi consiglio di leggere questo post della splendida Annachiara del blog Please Another Book. Nella prima parte c’è una disamina dei vari e-reader e delle ragioni per cui risulta molto comodo e conveniente per chi (come me e tanti altri) è un lettore ossessivo-compulsivo e non ha spazio/possibilità di acquistare tanti libri in formato cartaceo. Nella seconda parte c’è un’utilissima guida stilata da @MedOrMad alla conversione dei file per gli utenti non Kindle, che desiderano portare l’ebook su un altro dispositivo.
"Manuale della Perfetta Adultera" è convertibile nei formati più comuni poiché non ho limitato questa possibilità con i DRM (Digital Rights Management). La guida riportata nella parte finale del post vi spiegherà passo passo come procedere, ma vi prego di farmi sapere se avete dubbi o problemi tramite i canali che più preferite e che trovate nei "contatti", su in alto nel menu.
Spero di non aver dimenticato nulla.
Ah, sì...
...buona lettura!

mercoledì 1 ottobre 2014

Anteprima: Capitoli 1, 2 e 3 de "Manuale della Perfetta Adultera"

Cari amici, come sempre eccomi a darvi qualche notizia succulenta sulle anticipazioni del libro.
Chi mi segue sulla pagina autore di Facebook sa che insieme a Please Another Book, il blog che ha preso il mio libro sotto la sua aluzza protettiva, abbiamo pensato di ingannare l'attesa della pubblicazione (15 ottobre, segnate, segnate...) con un regalo: i primi tre capitoli del libro.
Il primo l'ho rilasciato ad agosto e lo trovate qui.
Il secondo è disponibile da ieri qui
Il terzo è ora disponibile qui.

Sono molto emozionata e spero che lo siate insieme a me!
Buona lettura a tutti!

mercoledì 24 settembre 2014

Cover ufficiale e data di pubblicazione

Aggiorno anche qui le ultime novità, per chi si affida al blog per restare informato sui "lavori in corso".
Dopo cinquanta (50!) prove di cover per il libro, finalmente la copertina di Manuale della Perfetta Adultera è nata!
Lorena Lo Giudice, la grafica a cui devo ideazione e creazione della cover (ma le devo anche molto altro, tra cui due maroni nuovi fiammanti) ha lavorato fino a tarda notte, per molte notti, affinché fosse proprio... PERFETTA!


Cliccate su per ingrandire... io la trovo stupenda!
*si ricompone*
Mi sembra opportuno fornire anche altre coordinate:
Data di pubblicazione: 15 ottobre 2014, esclusivamente su Amazon.
Formato: ebook (per ora. Poi si vedrà...)

Chi vuole, può aggiungere il want to read su Goodreads e presto sarà possibile prenotare la propria copia su Amazon.
Vi ricordo la pagina autore su facebook dove non mancano frizzi e lazzi, specie ora che gli animi si stanno scaldando.
Vi ricordo anche il blog Please Another Book, sul quale troverete molte altre informazioni utili sul mio, ma anche su tanti, tanti altri libri. E ci sarà la data del Read Along del Manuale!
Non sapete cos'è un Read Along? Andate sul blog.
Volete partecipare al Read Along e non sapete come fare? Andate sul blog.
Siete curiosi di sapere se ci saranno sorprese all'orizzonte?
Andate. Sul. Blog!
Ne approfitto fin d'ora per ringraziare tutti coloro che stanno prodigandosi tanto per pubblicizzarmi: per un autore self, questo è molto, MOLTO importante.
E adesso posso entrare nel panico.

venerdì 19 settembre 2014

Quando scrivere GRAZIE non basta.

Ieri ho scritto finalmente la pagina dei Ringraziamenti.
È incredibile pensare che ho creato un libro intero in maniera più o meno spedita e che mi sono, invece, bloccata su una sola pagina (due, in verità). Non riuscivo proprio ad iniziarla, ad essere sinceri.
Mi ci sono voluti giorni e giorni per far ordine nella mia testa. Credo che il momento in cui ti fermi a pensare a chi hai avuto al tuo fianco in un percorso importante sia quello che sancisce definitivamente la fine del viaggio. Ad avermi accompagnato in questa avventura sono stati davvero in tanti, ed ora che mi trovo a considerare quanto di quel tragitto sarei riuscita a percorrere senza alcuni di loro, capisco anche il motivo della mia titubanza: con le mie parole vorrei poter ricambiare, ma si tratta di uno scambio non equo. Anche perché più che chi ringraziare, bisogna capire per cosa si dice grazie.
Posso dire “grazie” anche mille volte, ma non sarò mai capace di spiegare cosa significa stare al telefono con una persona (io che odio il telefono), immaginando che siano passati cinque minuti e invece è trascorsa più di un’ora. Né sarebbe semplice spiegare l’emozione di guardare finalmente quel qualcuno negli occhi e contrarre in quello sguardo anni di parole.
Vorrei potervi dire che scrivere dà solo gioia e amore e felicità. 
Invece è una strada dissestata, piena di insidie e con tratti molto lunghi in piena oscurità. A meno che non si abbia una rendita fissa, una donna delle pulizie, una cuoca e una babysitter, scrivere è spesso un ostacolo alle attività quotidiane, fonte di discussioni e di litigi, oggetto di scherno e leva delle emozioni. Quando penso ai “costi” emotivi della mia passione, credetemi, non mi sento un’eroina. Eppure, all’interno di questa linea retta di cui si cerca di comprendere l’inizio e la fine – la scrittura, il matrimonio, la vita – è facile che non si ottengano affatto le risposte che si cercavano, ma che si scoprano invece aspetti straordinari di sé e di chi ci sta a fianco. 
Ho scritto la pagina dei Ringraziamenti, ieri, cercando di avere una parola speciale per tutti. Sarà di sicuro inadeguata, avrò dimenticato qualcuno di cruciale, sarà “ingessata” come lo sfoggio del vestitino di domenica pieno di naftalina.
Quella pagina non sarà mai all’altezza del suo compito perché c’è un momento, quello in cui apri gli occhi alle cinque del mattino e in silenzio percorri il corridoio fino al computer, in cui sotto la pelle scorre un fremito di trepidazione. È il momento in cui i sensi si acuiscono, in cui tutto dentro di te appare chiaro e lucido. È il momento in cui, personalmente, entro davvero in contatto con il resto del mondo, quello in cui faccio pace dentro e fuori di me.
È quello. Quello è il momento per cui dico GRAZIE e lo dico a tutti coloro che, con il loro contributo - un commento sul web, un bacio a sfiorarmi le labbra, una carezza sulla spalla, una telefonata inaspettata, una recensione, il preziosissimo regalo di un'ora di libertà dalle incombenze quotidiane - mi hanno aiutato e mi aiutano a vivere la scrittura.

Ricordatelo, quando leggerete quelle pagine.

mercoledì 9 luglio 2014

Invio di un manoscritto ad una Casa Editrice: storia di una morte annunciata.

L’esordiente è un personaggio affascinante.
Non esiste individuo più entusiasta di lui riguardo il proprio lavoro, quello con la più innocente delle speranze nel mondo e con incrollabile fede nell’umanità.
Questo è ciò che lo sostiene durante la stesura del suo romanzo. No, no. Del suo capolavoro.
Nessuno ha creato un manoscritto così, prima d’ora.
Nessuno ha profuso tanto impegno in uno scritto quanto lui nelle sue parole.
È stato minuzioso. Quel file di 350 pagine è andato avanti indietro via mail per mesi, tra lui e i suoi “editor”, amici troppo garbati per rifiutargli qualcosa chiesto con tale, mal dissimulata disperazione. Ha accolto tutti i commenti con grande umiltà e ha rielaborato capitoli interi, due, tre, cinque volte. Poi li ha rimandati agli amici, per dimostrare di aver imparato diligentemente a fare la cacca nel vasino.
È stato rigoroso. Ha setacciato il web alla ricerca dell’impostazione corretta della punteggiatura. Ha tirato giù tutti i suoi libri preferiti e ha eseguito anche lì una verifica ulteriore: meglio abbondare che essere avari.
È stato severo. Ha letto tutte le biografie di scrittori famosi e quando ha revisionato la sua prima bozza ha sfrondato cinquanta pagine di soli avverbi. Poi altre cinquanta che non rispondevano positivamente alla domanda “è proprio necessario”? Poi ha visto che gli rimanevano altre 400 pagine e ha pensato che poteva smetterla di avere paura del discorso diretto libero e che poteva lasciare che ad una domanda seguisse una risposta senza tre paragrafi di riflessione in mezzo.
È stato oculato. Ha stampato tutto il manoscritto per revisionarlo anche pagina per pagina, perché gli errori che balzano all’occhio sul cartaceo sono sicuramente il doppio di quelli del formato elettronico. E poi doveva scattare un selfie con il malloppo, il nome dello pseudonimo che tanto faticosamente ha scelto in bella mostra sotto il titolo.
Okay, il nostro esordiente è davvero una personcina perbene e ha fatto tutto a modino.
La fase successiva è stilare una lista delle Case Editrici papabili. E qui inizia a vacillare.
Ha preparato una sinossi, una biografia, una lettera di presentazione. E parte dai “Big” perché lui ha scritto un capolavoro. Ma i “Big” sono di tutt’altro avviso. Su dieci CE di grossa nomea, un terzo accetta materiale di tipo informatico, il resto solo cartacei.
Da una parte si deve iniziare e di solito si parte con le mail. Ma ci sono delle regole. Alcune CE vogliono la sinossi e due, tre capitoli; altre non vogliono la sinossi, ma una lettera di presentazione dettagliata con il manoscritto completo; altre vogliono il manoscritto e una scheda di presentazione; altri vogliono la biografia con contatti nel corpo mail e in più “non dimenticate i vostri dati in allegato” (-.-); altri forniscono delle indicazioni precise, tipo step 1, 2, 3. Insomma, quando il nostro esordiente clicca su invio avrà venti pagine di word aperte, tutte con minime variazioni l’una dall’altra, e gli occhi che si incrociano.
Invia.
Distende la schiena e si rivolge ad un Essere Superiore che vegli su quella sua mail, inondandola di fortuna e benevolenza.
Poi, col sorriso sulle labbra, inizia a chiudere il caos che ha in barra inferiore.
E si sofferma su qualche riga, il nostro esordiente tanto speranzoso, perché pure le lettere di presentazione sono piccoli gioielli partoriti dalla sua mente.
“Gentile Editore, o scritto un romanzo sentimentale…”
Fermi tutti.
Rilegge. Poi rilegge ancora.
Lui, che nemmeno in terza elementare ha mai sbagliato l'ortografia di un verbo ausiliare, ha scritto, anzi, “a scritto”.
Tragedia.
Dramma.
Catastrofe.
Già pensa a come eseguire un seppuku impeccabile, perché chiaramente è l’unica cosa che gli rimane da fare. Suda, il nostro eroe, alle 00.39, mentre cerca di capire se il file incriminato, uno di quelli tagliuzzati qui e lì in cui il canc per rientrare nelle famose “3000 battute” è scivolato una volta di troppo, sia proprio uno di quelli inviati. Non si ricorda più in quale cartella l’ha inserito, non si ricorda più nemmeno a chi.
“Fa' che non sia un Big. Fa' che non sia un Big”.
La Casa Editrice era la Fazi.
E il nostro eroe esordiente, la sottoscritta.
L’episodio che vi ho riportato ha un solo scopo. Farvi ridere insieme a me.
Nella mia vita ho, fortunatamente o sfortunatamente, imparato che le priorità sono altre. Se la Fazi dovesse accettarmi, ciò non cambierebbe la mia esistenza. Lo stesso accadrebbe se non dovessi ricevere risposta (credo di essere stata la prima autrice a sperare che il file venisse cestinato a priori). Scrivo per passione, necessità interiore, voglia di comunicare. Pur con la consapevolezza che il mio romanzo non è perfetto e che l’intervento di una Casa Editrice potrebbe migliorarlo sicuramente, io bramo di condividerlo con voi e so che accadrà. In un modo o in un altro.
Non siate troppo severi con voi stessi, non prendetevi eccessivamente sul serio.
Ridete.
Ridete di voi, delle situazioni in cui il caso vi fa precipitare, ridete più che potete.
Sono tante le cose che ci strappano una lacrima, ma se è di gioia, allora sì che vale la pena versarla.



sabato 5 luglio 2014

Dall’autopubblicazione all’editoria tradizionale: che fine farà questo libro?

Quando ero studentessa alle medie, avevo un professore di matematica simpaticissimo. Le sue lezioni non stancavano mai, perché era bravo: sapeva come rendere la materia che insegnava attraente a venticinque alunni che non erano più bambini, ma non erano nemmeno adolescenti. Tuttavia matematica era sempre matematica e io mi distraevo facilmente. Una volta mi beccò mentre con una compagna ci scambiavamo messaggi sui diari: interruppe la lezione, mi si avvicinò, prese un post-it e mi chiese un autografo.
Momento di silenzio.
Un autografo a me? Era chiaramente una beffa, ma lui lo disse con serietà. Mi fece firmare quel foglietto e lo conservò nella sua giacca. Io, che ero diventata di tutti i colori dell’Universo, non sapevo più dove nascondermi ma poi, prima di riprendere la lezione, lui disse una frase (che mi pare sia attribuita o comunque collegata a Socrate): “Le cose belle sono difficili, le cose difficili sono belle”.
Nel corso degli anni l’ho sentita in altre occasioni, ma quella prima volta mi è rimasta impressa. Senza puntare sulla mortificazione per la mia distrazione, quel professore aveva attirato l’attenzione sul fatto che non seguissi la lezione e che, forse, lo facevo perché la trovavo difficile. Probabilmente la trovavo solo noiosa, ma lui aveva colpito un nervo scoperto. Mi aveva sfidata, ma nello stesso tempo mi aveva dato una possibilità di mettere alla prova me stessa, di dimostrare che, a fare qualcosa bene, ci si riusciva con l’impegno e la volontà.
Nella mia vita ho adorato la letteratura, avuto una grossa inclinazione alle materie artistiche, ma ho seguito una formazione prettamente scientifica. Non credo sia dipeso da quell’episodio, ma a distanza di anni e anni, io quella lezione non l’ho mai dimenticata.
Perché vi ho fatto fare questo viaggio nel tempo? Adesso ci arrivo.
Nei post “Il punto della situazione #1 e #2” ci sono le motivazioni che mi hanno spinta a ritirare la ff e revisionarla, per cui non mi dilungherò a riguardo.
Quello che voglio dirvi è questo: prendere la storia, modificare un paio di cose e pubblicarla era allettante, ma non sarebbe mai stato nelle mie corde. Se avessi saputo al tempo cosa avrebbe realmente comportato riscriverla (perché è capitato questo, e ve ne parlerò a tempo debito), è probabile che ci avrei pensato molto, ma molto meglio. Ma le cose belle non sono mai semplici e “Manuale della perfetta adultera” è stata una riscrittura complicata, impegnativa, a tratti logorante. Ma è stata un’esperienza stupenda. Se non avessi avuto il sostegno di persone straordinarie, in primis la Prof, sono certa che sarei ancora al capitolo quattro. Quindi, punto primo: le cose belle sono difficili.
Adesso veniamo al dunque.
La riscrittura si è conclusa, brava. E ora? Che ne facciamo di queste 350 pagine?
Dissi in uno dei post che ho citato sopra che a revisione completa avrei deciso il destino del libro. Questo romanzo vedrà la pubblicazione in ebook e (se riesco) anche in cartaceo.
Quando?
Dipende da diversi fattori. Il primo è la modalità di pubblicazione. Io credo nell’editoria tradizionale e ho una sana allergia per quella a pagamento (a questo proposito mi viene sempre in mente la risposta negativa per eccellenza: “Mai, nemmeno se mi paghi”. Se devo pagare per pubblicare, c’è qualcosa che non torna e la matematica, diceva sempre quel professore tanto simpatico, è un’opinione solo nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo). Cosa significa questo? Dobbiamo aspettare che una casa editrice accetti di pubblicarti?
Per l’amor di Dio!
Credere nell’editoria tradizionale, per quanto mi riguarda, significa credere nell’importanza di certe figure: il correttore di bozze, l’editor, i grafici, gli esperti di promozione e marketing, i librai e i venditori in genere. Nello stesso tempo, però, significa anche non poter ignorare la crisi profonda che l’ha colpita e quindi l’editor si trova a fare il correttore di bozze per pochi spiccioli; i librai chiudono perché molti non riescono a stare al passo con il fenomeno in crescita esponenziale degli ebook; il marketing e la promozione vengono fatti esclusivamente sull’onda del prodotto che “tira” al momento, spesso a discapito di piccoli capolavori che resteranno sempre nell’ombra solo perché non hanno visto la luce nel momento storico più favorevole; i grafici sfornano copertine “stampino” e sembra che i libri siano un po’ tutti uguali (forse, alcuni lo sono pure). Non è sempre così, mi dicono, ma purtroppo non è raro.
Lo sconforto in cui cadono molti scrittori esordienti porta alcuni di essi a cercare scappatoie (vedi l’EAP) o a lanciarsi nel self-publishing ritenendolo l’unico mezzo fattibile per potersi vedere finalmente pubblicati.
Io non credo che il self-publishing sia una via più semplice rispetto all’editoria tradizionale. Semmai è il contrario. Occuparsi in modo indipendente di tutti gli aspetti di una pubblicazione non solo è impegnativo, ma toglie anche molto tempo alla scrittura, specie per persone che fanno altro (e in Italia penso che si contino sulle dita delle mani gli scrittori che non affiancano a questa, anche un’altra professione).
Io vedo l’autopubblicazione come una sfida e come una possibilità.
E come per tutte le possibilità che si hanno a disposizione, affinché si riesca a trarne il maggior beneficio da esse, è necessario dedicarsi con impegno e rigore. Capirete bene che questo, per una come me, significa mesi di lavoro aggiuntivo a quelli della scrittura.
Quindi, punto secondo: le cose difficili sono belle.
Poiché temo di non voler concludere con un solo libro la mia avventura nel mondo della parola scritta, e con il passare del tempo di certo non ringiovanisco, mi sono data una scadenza che ritengo fattibile per la pubblicazione: la fine di quest’anno.
Salvo imprevisti. In parallelo allo studio minuzioso dell’autopubblicazione, seguirò anche la strada tradizionale. Magari non porterà a nulla, magari sarà un no dritto sul muso, magari sarà solo silenzio, ma se non lo faccio sarà un fallimento in partenza, perché avrei io rinunciato e questo è un atteggiamento che non mi apparterrà mai.

Data approssimativa per la pubblicazione: dicembre.

sabato 29 marzo 2014

Consigli per gli acquisti #5


Di recente ho avuto molto tempo da dedicare all’esternazione del mio io più profondo. Praticamente tutti i giorni ho intrattenuto una conversazione con qualche tecnico della Telecom che, con finta gentilezza, s’è dichiarato al mio servizio per ripristinare la connessione internet ballerina. In quaranta giorni, quindi, sono passata attraverso tutte le sfumature della speranza, pazienza, condivisione, sopportazione, irritazione, rabbia, furia. Poiché, puntualmente, le telefonate Telecom arrivano all’ora di pranzo o cena con domande più o meno imbarazzanti (“Signora, qual è il problema? Avete testato il modem? Avete cambiato i filtri? Avete staccato la testa a vostro marito? Adesso siete connessa? Navigate? Io vi vedo allineata …”), il computer è rimasto acceso per giorni interi in perfetta immobilità e, quindi, ho avuto modo di dedicarmi alla visione di alcuni film che sostavano in doppia fila su un pc ormai stracolmo da troppo tempo.
(Piccola postilla: non credete MAI a ciò che sostengono questi operatori. Vi raggireranno in tutti i modi più subdoli per convincervi a non disdire il contratto, vi prometteranno di interessarsi al vostro caso, di monitorare la vostra linea per 48 h – io dopo questo tempo trovavo le segnalazioni effettuate, chiuse per avvenuta riparazione. Informatevi, non accontentatevi, lottate. Dopo raggiri vari, minacce, coercizioni sono approdata qui e ho visto la luce. E ora Telecom vedrà il buio. Tutto GRATUITAMENTE, ovvio).
Ad ogni modo, vi consiglio i film che meritano, as always.

 “La grande bellezza”, anno 2013, di Paolo Sorrentino. Come saprete, la pellicola ha vinto l’Oscar come migliore film straniero, dopo aver vinto il Golden Globe, e ne sono felicissima. È stato molto criticato, ma io ho fatto il tifo per questo film surreale, crudo e cinico, aspro e commovente. Paolo Sorrentino mescola la purezza della poesia allo sfiorire di una Roma ormai decadente e usa come filtro gli occhi di uno scrittore “in blocco”, sfruttando il suo malessere più intimo per portare in luce la pochezza dell’essere umano, le paure e “le grandi brutture” dell’animo. Non è un film che lascia una bella sensazione addosso, ma si fa pensare a lungo. Consigliatissimo.



Saving Mr. Banks” (Saving Mr. Banks), anno 2013, di John Lee Hancock. Confesso qui di essere una vecchia fan di “Mary Poppins”. Sono una di quelle che si incollava alla televisione quando davano questa pellicola, pur senza resistere quasi mai fino alla fine del film (ricordo che era abbastanza lunghetto ed io mi pregiavo di riuscire a dormire ovunque ci fosse una superficie abbastanza solida da reggermi. Ah, bei tempi!). Sognavo un uomo come Bert, con la stessa allegria e positività, e, come avrei scoperto dopo qualche anno, una borsa come quella di Mary (la cerco ancora, eh). E’ stato uno step naturale, dunque, lasciarmi incuriosire dal film di come i romanzi della Travers siano passati al grande schermo. E sono rimasta piacevolmente stupita. Saving Mr. Banks è di una delicatezza sconfinata, con due attori d’eccellenza che rendono meravigliosamente i dettagli fisici e comportamentali di una situazione d’impasse che dura da vent’anni (nel film, la Travers è ostinatamente restia a concedere la sua Mary al Signor Disney, nonostante nella realtà i diritti cinematografici erano già stati concessi quando la scrittrice giunse a Los Angeles per discutere della sceneggiatura). E’ divertente, toccante (ho pianto e, sono certa, piangerei ancora a rivedere un paio di scene), ben interpretato. E, ovviamente, è consigliato.



All is Lost – Tutto è perduto (All is Lost), anche questo anno 2013, di J.C. Chandor. Qui ci vuole un minuto di silenzio. Prima di tutto, perché nel film ci saranno forse quattro battute di dialogo in tutto. Secondo poi, è stato un tuffo (letterale) tra i ricordi. E’ la storia di un naufragio, come forse ce ne saranno tante altre e simili, ma solo chi ha fatto vacanze come le mie può comprendere il grado di empatia che ho provato guardando questa pellicola.
Il trailer qui.



Qui inizia un post a parte, di cui non posso proprio fare a meno, ma che siete liberissimi di saltare a piè pari.
Guardando quest'ultimo film ho avuto la certezza della sacrosanta imprescindibilità di alcuni fatti: 1) Se la sfortuna inizia a seguirti in mare, ti abbandona solo quando metti piede in terra. 2) Le persone sono fatte per camminare. Non per nuotare, non per oscillare su quella che chiamano orgogliosamente barca e, vai a vedere, trattasi di un guscio di noce. 3) Tutto si può risolvere con una bella chiacchierata.
Nella mia vita ho avuto la “fortuna” di andare in vacanza due volte su una barca, per una settimana. Al tempo ero accecata dall’ammmmmmore e per il mio fidanzato avrei sopportato ogni tipo di sacrificio (infatti l’ho sposato ed è diventato mio marito); ho fatto scorta di anticinetosici perché soffro il mal di mare, ho duellato con mia madre per convincerla a lasciarmi partire (tutti sono moderni quando NON si parla della propria bambina), ho ficcato il cuscino nella valigia (non parto MAI senza il mio cuscino) e mi sono lanciata all’avventura.
Da dove vengono le certezze che ho numerato sopra?
In ordine: ho scoperto che, su di me, gli anticinetosici non funzionano. Nausea perenne e rincoglionimento da farmaci, fin quando non scendevo a terra barcollante e mi schiantavo sotto un albero (mentre tutti sguazzavano in spiaggia). Ho diviso la cabina con una tanica di nafta che s’è rovesciata, diffondendo i suoi effluvi per tutto il viaggio. S’è staccato un tubo del gas e per due giorni non abbiamo potuto cucinare. Abbiamo incrociato un temporale forza 8 e, in seguito, perso il gommone con cui scendevamo a terra. Il fidanzato-futuromarito ha avuto un ascesso al dente, in pieno agosto, su un’isoletta sperduta dove non ci dispensavano nemmeno una confezione di novalgina senza ricetta medica; la sottoscritta un herpes labiale che le ha preso metà viso. E poi, punture di meduse, scarpinate a prova d’infarto e in rada per tutto il tempo. Il viaggio della speranza.
Comprendo, perciò, il motivo per cui in film come “All is lost” (mai titolo fu più azzeccato) ricorre sempre la scena in cui l’uomo (è sempre un uomo, sta poco da fare. Nessun altro, donna o persona sana di mente, si lancerebbe in un’avventura del genere) saluta l’alba nascente con un sorriso appena accennato sulle labbra: è il sorriso del sopravvissuto. Ovviamente, anche se il protagonista di questa pellicola sembra essere perseguitato dalla sfortuna, è un film che consiglio senza dubbio: se non altro per l’aplomb straordinario di Robert Redford, gnocco di potenza mondiale anche a settantasette anni, che si fa sfuggire un “cazzo” appena sussurrato solo a film quasi concluso (al contrario della sottoscritta che inventa parolacce all’occorrenza, quando quelle conosciute risultano insufficienti) e, dopo peripezie di ogni genere, conserva comunque una penna biro funzionante e gli occhiali da vista.
Un miracolo senza dubbio.