mercoledì 22 maggio 2013

Recensione: "Captive in the Dark" di C.J. Roberts

Questo romanzo merita una recensione coi fiocchi. Primo di una trilogia, la saga The Dark Duet, è disponibile solo in lingua inglese (speriamo in una prossima folgorazione da parte degli editori italiani), ma non temete: se l’ho letto io, credetemi, potete farlo tutti U.U
Nonostante fossi stata avvisata per tempo, non sono riuscita a prepararmi completamente dal punto di vista emotivo prima di immergermi nella lettura di questo libro.
Sono una personcina curiosa e non manco mai di dare una sbirciata alle trame, così, giusto per stabilire un primo contatto e vedere se può nascere qualcosa di più ;)
Con solo l’intenzione di capire quanto fosse approcciabile l’inglese di questo romanzo, ho letto un paio di pagine. Poi, un capitolo.
E, poi, ho capito che non sarei riuscita a staccarmi se non fossi arrivata alla fine.
Sapevo che avrei odiato questa trama dalla prima all’ultima parola, lo sapevo e così è stato. Ed ero timorosa come poche volte, non tanto per la crudezza di certi passaggi, ma per il terrore di una delusione enorme. Non avrei sopportato di arrivare a metà libro e scoprire che nella testa di questa autrice un rapimento - con tanto di iniziazione al bdsm, tortura e violenza carnale -, evolvesse in una storia d’amore.
Se c’è una cosa che reputo sacrosanta è la consensualità. Poi, mi va bene tutto (quasi).
-Spoiler –
Livvie è una diciottenne spezzata, con un animo sensibile ed una determinazione straordinaria  a meritare l’amore degli altri: quello della sua famiglia (di sua madre in particolare), quello di un’anima gemella immaginaria. Nonostante tutte le delusioni che la vita le riserva continuamente, Livvie non smette mai di sperare. Spera che la madre le *perdoni* la colpa di essere nata donna, che ricoprirsi di abiti informi e mantenere un aspetto dimesso possa aiutarla a *comportarsi come si deve*. Spera, inconsapevolmente, di non fare la fine di sua madre, ma razionalmente vuole solo essere meritevole di amore. Quando viene rapita, piomba nella disperazione, pensando di aver fallito e di essere/diventare una poco di buono. Se ne convince, nel momento in cui scopre l’identità del suo rapitore e capisce di conoscerlo già. Pensa che nei suoi atteggiamenti ci sia stata quella provocazione malata che ha spinto l’uomo ad essere ossessionato da lei, al punto di rapirla. Non sa di essere solo un mezzo per la vendetta a cui Caleb ha votato tutta la sua vita, la vendetta che ha bisogno di compiersi affinché lui possa affrancarsi completamente dal suo passato – a sua volta – di vittima innocente, e nel contempo sdebitarsi con l’uomo a cui deve la sua salvezza.
Caleb è un uomo violento, ma la violenza che esercita nei confronti della ragazza è sempre studiata, sottoposta al controllo delle emozioni, mai vissuta come piacere personale. La ragazza non ha un nome, non ha una storia, non ha emozioni. Ha delle reazioni che devono essere allenate di continuo affinché diventino istintive e concorrano a creare la schiava di piacere perfetta da vendere ad una misteriosa asta che verrà effettuata in Pakistan, la donna destinata a compiacere l’uomo che Caleb deve annientare, regalando a lui e a Rafiq, il biglietto di prima classe per il compimento della loro vendetta personale.
Ma Caleb cresciuto in un mondo di violenza, all’inizio per obbligo, poi per scelta, si trova a capire solo quella, a vedere la realtà che lo circonda solo attraverso quei particolari filtri. Inizia a sentirsi coinvolto emotivamente dalla ragazza. Più tenta di piegarla, più lei resiste. Se ci riesce con il corpo, altrettanto non accade con la mente.
La ragazza è una sopravvissuta, proprio come lui.
Nell’evoluzione della storia, Livvie ha dei momenti di cedimento, oltre che fisici, anche emotivi. Arriva a chiedersi se sta iniziando a soffrire della sindrome di Stoccolma, perché sente di provare qualcosa nei confronti dell’uomo che l’ha rapita, il suo stesso corpo la tradisce quando lui la tocca.
Ma quando le circostanze diventano favorevoli e Livvie ha la possibilità di fuggire, lo fa. Senza voltarsi indietro nemmeno una volta.
E mi fermo, per non spoilerare tutta la trama.
Mi è piaciuto moltissimo lo stile di questa autrice. Chiaro, incisivo. La storia è in prima persona, dal punto di vista di Livvie, e in terza nelle parti riguardanti Caleb. Anche questa tecnica narrativa è appropriata, secondo me: crea il necessario distacco dal rapitore, concorrendo a stabilire una sorta di connessione emotiva con la vittima.
Tra i due protagonisti non nasce una relazione d’amore. Mai in questo libro. E’ una sorta di complicità, ma né quello di Caleb può definirsi amore (distorta com’è la sua visione del mondo a causa della sete/necessità di vendetta), né quello che sente Livvie, la quale scopre in se stessa un incrollabile istinto di conservazione che decide di assecondare totalmente, senza sapere bene dove la condurrà …
Questo è un libro che lascia il segno, che spinge ad una riflessione, che va preso con le pinze, senza alcun pregiudizio di base. Solo così può essere apprezzato: leggendolo.
Non mi sento di consigliarlo, tuttavia, in maniera indiscriminata. Bisogna essere nella giusta predisposizione d’animo, essere consapevoli che non si vorrà/potrà quasi mai simpatizzare coi protagonisti ed essere pronti a leggere scene per niente piacevoli. Non è una storia sul bdsm, ma parla anche di bdsm in modo marginale. C’è molta violenza, invece, questo sì. Quello che posso dire, però, è che l’autrice ha fatto un ottimo lavoro.




2 commenti:

  1. Ehm...ho letto fino alla parola spoiler poi mi sono fermata,e poi su Goodreads l'ho messo sulla lista Want to read!
    Non so quando riuscirò a leggerlo, visto che è in inglese, ma il tuo entusiasmo e quello di Cam mi incoraggiano...

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    1. Hai fatto bene a non leggere lo spoiler (tutta la recensione, praticamente -.-').
      Non sarei mai stata esaustiva se non avessi commentato una particolare situazione (che per me ha fatto la differenza sostanziale in questo libro), ma ti consiglio di leggerlo davvero.
      A prescindere dalla trama in sé, questo romanzo è scritto proprio bene: una bella narrazione, un linguaggio scorrevole e chiaro, nonostante spesso i pensieri dei protagonisti siano contorti.
      L'inglese è approcciabilissimo. Pensa che io sto avendo molte più difficoltà con "Anna and the French kiss", praticamente un libro quasi banale, ma con un inglese più frammentario, molto meno lineare di questo (e forse, anche una storia molto, molto meno interessante U.U).
      Si fa leggere, questo romanzo. Fidati :)
      E grazie per la raccomandazione che mi hai dato su goodreads, ho subito messo in lista!

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